Almeno una volta, nella propria esperienza genitoriale, si è posti questa domanda, a cui non è sempre stato facile dare delle risposte. In molte occasioni, si è addirittura pentiti di non aver approfondito o di aver sottovalutato le reazioni emotive del proprio figlio.
Certo è che, la vita frenetica, spesso, ci impedisce di soffermarci sui piccoli gesti, in particolar modo sui comportamenti dei più piccoli, etichettati, spesso, come semplici capricci.
Ciò è dipeso, in parte, dalla credenza popolare che i bambini (ma a volte anche i ragazzi) non sempre capiscono cosa succede agli adulti. La scienza ci dimostra, invece, che i nostri pargoli, anche se non capiscono fino in fondo cosa accade, sono certamente esposti a subirne le conseguenze.
Fin dai primi anni, infatti, un bambino è esposto a diverse situazioni che implicano certamente un sovraccarico emozionale, in cui alcune rientrano nelle normali fatiche dello sviluppo psicologico (come ad esempio la separazione dei propri genitori o la nascita di un fratello), altre, invece, sono più difficili da gestire (come può essere la continua tensione sperimentata in casa a causa dei litigi tra i propri genitori oppure il dover star rinchiusi in casa in quarantena). Ogni bambino (o ragazzo), ovviamente, ha le sue modalità e capacità di saperlo affrontare, ed è per questo che è necessario, valutare i campanelli di allarme.
Certamente non è semplice, ma è possibile tener conto di alcuni criteri, in particolar modo cinque (di seguito esposti), e valutarne la sussistenza:
- Considerare la presenza di comportamenti definiti di “allarme” (come ad esempio un comportamento aggressivo, o una reazione di isolamento con abuso di videogioco o telefonino) e soprattutto valutare se questi sono passeggeri.
- Valutare la qualità e la quantità del comportamento “problematico”, che dovrebbe produrre una chiara interferenza con il suo “funzionamento” quotidiano.
- Intercettare l’intensità dell’espressione emozionale, che può variare dall’assenza a manifestazioni eccessive.
- Riscontrare la presenza di un divario tra la situazione scatenante e la reazione emozionale, ovvero rendersi conto che le reazioni del bambino/ragazzo non sono commisurate alle situazioni che vive (ad esempio il bambino prova una forte ansia senza che ci siano motivi che la giustificano).
- Valutare se il comportamento ritenuto problematico si manifesta insieme ad altri indicatori di disagio.
Detto ciò, occorre tener presente che ogni bambino o ragazzo ha un suo modo di esprimere il proprio disagio. Certo è che, ognuno di loro, è in grado di indicare la strada da percorrere per poterlo aiutare, basta saperla seguire.
È un’opportunità, per noi adulti, saperci interrogare sulla nostra capacità di accogliere e stare vicino alle fatiche emozionali che egli attraversa nel proprio percorso di crescita, in modo da poterlo aiutare a scegliere la modalità più adeguata di codifica e decodifica emozionale.