La nascita di un figlio è, per la maggior parte delle persone, un sogno atteso e desiderato. I nove mesi che precedono il parto sono vissuti con entusiasmo, desiderio e con la costruzione di aspettative.
Con la nascita, l’attesa cede il posto all’incredulità di quanto avviene, mentre si confrontano le aspettative con la realtà, e si pensa
“È così che me lo immaginavo? Mi assomiglia? È identica alla sua mamma!
Sono queste ed altre le frasi che si susseguono in quei primi giorni in cui si incontra per la prima volta il proprio bambino, un esserino piccolo, innocente che ogni genitore cerca di difendere per tutta la sua vita.
Ci sono casi in cui tutto questo anche se avviene ha delle sfaccettature diverse. Mamma e papà si ritrovano a dover cedere l’immagine del bambino atteso e gelosamente custodita dentro di sé, per far spazio ad una realtà più difficile da accettare.
Quando il figlio desiderato non arriva, o non è proprio come ci si aspettava, inevitabilmente bisogna confrontarsi con la possibile ferita narcisistica.
Spesso, avviene quando si scopre che il proprio figlio è affetto da Trisonomia 21, o quella che più comunemente si chiama Sindrome di Down. In questi casi, non sempre la famiglia affronta con semplicità sia la notizia sia quello che accade dopo.
Al riguardo, credo valga la pena condividere alcune righe della scrittrice Emily Peri Kingsley, nel suo libro Benvenuti in Olanda, che a mio parere fanno molto riflettere. L’autrice, con la metafora del viaggio descrive cosa può avvenire, nella mente dei genitori, alla nascita di un figlio:
«…Quando stai per avere un bambino, è come programmare un favoloso viaggio in Italia. Compri una guida sull’Italia e fai dei meravigliosi progetti. Il Colosseo. Il David di Michelangelo. Le gondole a Venezia. Cominci ad imparare alcune frasi in italiano. Tutto è molto eccitante. Dopo qualche mese di sogni anticipati, il giorno finalmente arriva. Fai le valigie e parti.
Alcune ore più tardi, l’aereo comincia ad atterrare. Lo steward entra e dice: “Benvenuti in Olanda”.
“In Olanda?” – domandi. “Cosa significa Olanda? Io ho comprato un biglietto per l’Italia!” …
“C’è stato un cambiamento nel piano di volo. Abbiamo optato per l’Olanda e qui devi stare”…. È solo un posto diverso.
Così devi andare a comprare una nuova guida. E devi imparare alcune frasi in una nuova lingua. E incontrerai nuovi gruppi di persone che non avresti altrimenti incontrato. È solo un luogo diverso. È più calmo e pacifico dell’Italia, meno abbagliante dell’Italia. Ma dopo che sei lì da un po’, prendi confidenza, ti guardi intorno e cominci ad imparare che l’Olanda ha i mulini a vento e l’Olanda ha i tulipani e l’Olanda ha Rembrandt.
Però tutti quelli che conosci sono occupati ad andare e venire dall’Italia e ognuno si vanta di quale meraviglioso periodo ha trascorso là. E per il resto della tua vita tu dirai: “Sì, quello era il luogo dove avevo progettato di andare. E ciò che avevo programmato”. E la pena di tutto ciò non se ne andrà mai, mai, mai, mai, perché la perdita dei propri sogni è una perdita molto significativa.
Ma se passerai la vita a piangerti addosso per il fatto che non sei andato in Italia, non sarai mai libero di godere delle cose molto, molto speciali e molto amabili dell’Olanda”.»
Certo è che la comunicazione della diagnosi e il ritardo di sviluppo associato, provocano nei genitori, delle reazioni emotive intense; essi, inaspettatamente sono costretti a riformulare i loro progetti futuri, valutare quanto può accadere e ridefinire il proprio nucleo familiare (Ferri, 1996).
Riconoscere che il proprio figlio necessita di un sostegno concreto, mette il genitore davanti a scelte importanti, scelte non esenti da domande e perplessità “avrò fatto la scelta giusta?”.
In realtà, come Emily Peri Kingsley scrive nel suo libro, trascorrere molto tempo a ripercorrere le proprie aspettative, colpevolizzarsi di colpe che non sussistono o pensare di non poter affrontare circostanze simili impedisce ad ogni genitore di impreziosirsi del calore e dell’amore che il proprio figlio può dare. Un bambino con Trisomia 21 può avere un aspetto diverso da quello che più comunemente ci si aspetta, o seguire delle tappe di sviluppo più lente, ma avrà lo stesso potenziale di ogni altra persona.
Perdersi nella disperazione “Perché proprio a me! Come faremo ad affrontare quello che accadrà?!” impedisce alla famiglia di conoscere e soprattutto stimolare il proprio pargolo nel modo giusto. In questi casi sono pochi gli ingredienti che servono: farsi supportare dai propri cari e da professionisti, lì dove è necessario, seguire le indicazioni sanitarie previste, ma soprattutto essere orgogliosi di ogni dono ricevuto.
Un bambino non si può identificare con una diagnosi, un bambino è solo e straordinariamente un bambino da amare, e si sa che, spesso, l’Amore può fare miracoli!
Tratto da pubbl. in Adriana De Filippis ( 2015) “Progetto 0-3: significato della presa in carico abilitativa logopedica precoce nei bambini con Sindrome di Down” di F. Cardaropoli ed E. Liguori, in LOGOPEDIA E COMUNICAZIONE, Volume n. 2 Maggio 2015